APPUNTI

Da che l’uomo esiste, si è sempre posto il problema della conoscenza del mondo che lo circonda, affidandogli un ruolo, una funzione, che si è, di volta in volta,andata modificando nel tempo, secondo le diverse epoche. Il grande tema, lontano dall’essersi stemperato nel tempo e lungi dall’essere stato risolto, nelle continue dispute fra studiosi di ogni disciplina,  soprattutto quelle orientate agli studi fisici, è quanto mai presente oggi, in un’epoca fortemente caratterizzata dal crescere preponente della tecnologia informatica e dallo spirito scientifico, che, mentre prende il dominio sulla natura, sembra offrire all’uomo prospettive del tutto nuove. Per poter trattare di dove la fisica è arrivata, bisogna partire dal principio. Con il termine “Fisica” viene designata una disciplina che ha come obiettivo principale lo studio della Natura. Capire il perché avvengono certi fenomeni permette  all'uomo di utilizzare al meglio le risorse che madre Natura ci offre. Scoprire come avvengono i fenomeni naturali permette all'uomo di inventare  nuovi ritrovati tecnologici. Entrambi questi aspetti contribuiscono a migliorare la qualità della vita dell'uomo. In questa materia importante non è tanto il saper trovare risposte, ma di sapersi porre le domande giuste. In particolare la Fisica delle particelle elementari è la branca della fisica che si occupa dello studio dei costituenti della materia e delle loro interazioni. L’origine storica della disciplina può essere fatta risalire ai filosofi greci, ed in particolare ad  Aristotele con il miscuglio dei quattro elementi (acqua, fuoco ,aria,terra)  e Democrito con l’atomismo. Naturalmente non dovete pensare a Democrito e Aristotele impegnati in esperimenti con provette e alambicchi, la loro, come quelle degli altri filosofi greci, è una costruzione essenzialmente mentale. Prima di arrivare ad un approccio sperimentale e alle prime applicazioni tecnologiche sarebbero dovuti passare ancora secoli.  Ma è il 1700 che rappresenta l’anno di svolta per la fisica delle particelle e in particolare con la nascita della chimica come scienza sperimentale. La teoria atomica è una delle più grandi conquiste della scienza moderna. Quello che ha portato originariamente a formulare la teoria atomica è stata l'osservazione dei rapporti costanti degli elementi nei composti. Questo si può spiegare solo ammettendo che la materia è fatta di particelle indivisibili, gli atomi.  Uno strumento utile di indagine alla chimica e alla medicina fu dato da uno scienziato francese Becquerel con la scoperta della radioattività. Becquerel si impegnò in un esperimento per vedere quali elementi potevano emettere raggi. Si trattava di esporre lastre fotografiche verniciate di nero a campioni dei diversi elementi: se un elemento avesse emesso un raggio, questo avrebbe penetrato il rivestimento nero e impressionato la lastra fotografica. Con sua grande sorpresa, Becquerel trovò che alcuni elementi, tra cui l'uranio, emettevano raggi energetici spontaneamente, senza aver bisogno di assorbire energia. Egli, attraversa i suoi esperimenti, dimostra che esistono processi naturali per i quali certi elementi emettono raggi X energetici. Questo suggerì che alcuni elementi erano intrinsecamente instabili perché spontaneamente rilasciavano energia in diverse forme. Questo rilascio di particelle energetiche (come i raggi X) a partire dal decadimento di atomi instabili è chiamato radioattività.  Nel 1904, Thomson propose un modello atomico che fu definito modello a panettone in cui l’atomo veniva rappresentato come una distribuzione di carica positiva diffusa, contenente delle cariche negative disposte in maniera regolare, in anelli rotanti. Se consideriamo un panettone, i canditi rappresentano gli elettroni immersi in una pasta carica positivamente. Questo modello propone quindi che le cariche negative siano in grado di neutralizzare la presenza delle cariche positive in cui sono immerse, stabilendo che l’atomo è neutro. Thomson,  così, rappresenta l’atomo non più come qualcosa di indivisibile, ma piuttosto come qualcosa di divisibile, in quanto costituito da particelle subatomiche, più piccole dell’atomo stesso. A lui attribuiamo anche la scoperta degli elettroni, particella elementare di carica negativa, usata come quanto. Successivamente Rutherford, chimico e fisico britannico, fece un esperimento che culminò con la confutazione del modello atomico a panettone proposto da Thomson. Egli ipotizzò che la massa e la carica positiva fossero concentrate in una parte molto piccola dell’atomo chiamata nucleo, e che gli elettroni si trovavano nella zona periferica, a grande distanza dal nucleo. Questa ipotesi nasceva da un’importante esperienza, effettuata da due allievi di Rutherford. Una lamina sottilissima di metallo veniva bombardata con particelle α (nuclei di 4He, ovvero formati da 2 neutroni e 2 protoni) veloci; uno schermo rivelatore indicava poi i punti di arrivo della particelle α, permettendo quindi di stabilirne la traiettoria dopo il passaggio attraverso la lamina.

Se fosse stato valido il modello di Thomson, cioè se l’atomo avesse avuto una struttura omogenea, le particelle α avrebbero dovuto comportarsi tutte nello stesso modo, perché in qualunque punto avessero colpito la lamina metallica avrebbero trovato situazioni equivalenti. In realtà le particelle α si comportarono in modo diverso: per la maggior parte passarono senza subire nessuna deviazione, ma alcune vennero deviate secondo vari angoli e alcune vennero addirittura respinte. Questo comportamento spinse Rutherford a formulare la sua ipotesi; le particelle che non venivano deviate erano quelle che passavano abbastanza distanti dai nuclei. Quelle che si avvicinavano ai nuclei venivano deviate per effetto della repulsione elettrica, visto che sia le particelle che i nuclei sono positivi; tanto più si avvicinavano ai nuclei, tanto più fortemente venivano deviate. Quelle che andavano direttamente verso i nuclei venivano respinte: queste ultime erano poche, perché il nucleo occupa una parte molto piccola rispetto allo spazio occupato da un atomo e quindi la probabilità che una particella si dirigesse proprio contro un nucleo era bassa. Il termine fotone fu coniato da Gilbert Lewis nel 1926 per definire quelli che da Albert Einstein, per primo, erano stati definiti quanti di luce. Prima delle scoperte della prima metà del XX secolo, onde e particelle sembravano concetti opposti: un'onda riempie una regione di spazio, mentre un elettrone o uno ione hanno una locazione ben definita. Su scala atomica, in effetti, la distinzione diventa confusa: le onde hanno alcune proprietà delle particelle e viceversa. Effettivamente il fotone mostra una duplice natura, sia corpuscolare, sia ondulatoria: a seconda della strumentazione usata per rilevarlo, si comporta come una particella, o si comporta come un’onda.  Sotto alcuni aspetti la radiazione elettromagnetica agisce come una particella (fotone). La scoperta del neutrone fu ad opera dello scienziato Chadwick, tuttavia non si sarebbe potuta realizzare se Bothe e Becker nel 1930 non avessero notato che particelle alfa emesse dal Polonio, incidendo su Berillio, non producevano una radiazione capace di superare 200 mm di Piombo. La radiazione doveva essere neutra, perché nessuna particella carica, che avesse avuto a disposizione tutta l'energia prodotta nella reazione, avrebbe potuto superare più di 1 mm di piombo.